La volatilità è davvero una misura del rischio?
Riteniamo sia importante porre l’attenzione su come le distorsioni percettive (bias) diventino convinzioni radicate difficili da estirpare, pur contrastando in maniera eclatante e facilmente riscontrabile con l’evidenza.
A dimostrazione di questo, tratteremo un esempio che riguarda una misura quotidianamente familiare a tutti coloro che lavorano nell’ambito della finanza: la volatilità.
Chi non è d’accordo che sia consuetudine associare ad uno strumento con bassa volatilità storica una connotazione positiva? Infatti, non è forse vero che tra le caratteristiche di un fondo a cui viene dato risalto spesso viene citata una misura di volatilità contenuta come fosse un vanto?
Ebbene, non è corretto.
Forse non tutti condivideranno la nostra affermazione ma siamo sicuri che cambieranno idea al termine di questo articolo.
Vogliamo infatti sostenere come la volatilità sia una misura forviante, in cui erroneamente molti, troppi, ripongono fiducia.
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Perché la sicurezza attribuita alla volatilità è immeritata?
Lo si può dimostrare con due esempi.
Il primo prende in considerazione la serie storica dei prezzi e dei rendimenti in un anno di un determinato strumento finanziario, da cui abbiamo ricavato i valori di volatilità e dell’indice di Sharpe.
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Dati alla mano, sono state poi create altre due serie di rendimenti “rimescolando” i valori a disposizione, al fine di ottenere una simulazione dei rendimenti di due altri prodotti che mantenessero pari deviazione standard e indice di Sharpe (dato che si è variato solo l’ordine della serie dei rendimenti ma non i valori in sé).
Il grafico qui di sotto mostra l’evoluzione temporale del montante delle tre serie di prezzo degli strumenti presi in considerazione: in blu la serie reale e in verde e rosso quelle artificialmente elaborate.
Le tre equity presentano pari volatilità e pari indice di Sharpe
Appare evidente come accontentarsi di queste due misure non consenta di considerare altri elementi fondamentali, uno fra tutti il percorso che porta le tre linee a confluire al tempo 1 allo stesso valore.
Infatti, mentre lo strumento blu ha seguito un andamento più costante, il rosso ha segnato subito un andamento fortemente positivo e a seguire un crollo. Un percorso inverso invece ha caratterizzato lo strumento verde.
Mentre non è rilevante per il risparmiatore sapere che il suo strumento si fregia di una bassa volatilità, porta invece a delle conseguenze l’aver subito o meno in portafoglio i forti saliscendi nell’arco temporale in esame.
Proviamo ad analizzare quanto elaborato dal punto di vista “umano” dell’investitore:
- Chi avesse investito ipoteticamente nello strumento rosso, in t1 sicuramente si dimostrerebbe ancora molto arrabbiato per la forte perdita subìta nell’ultimo periodo dell’anno e amareggiato per il mancato guadagno accumulato in precedenza (ca. +80%). Questo fenomeno in finanza comportamentale viene definito come “ancoraggio”: la mente dell’investitore di questo esempio viene ancoràta in corrispondenza del picco massimo raggiunto. Tale picco diviene quindi il punto di riferimento inconscio sulla cui base valutare l’insoddisfazione nei confronti dell’ investimento.
- Al contrario, l’investitore dello strumento verde in t1 si sentirebbe forse sollevato perché, dopo l’iniziale tracollo, pian piano avrebbe potuto recuperare il suo capitale e addirittura conquistare un profitto, insperato nei momenti di andamento più negativi.
- Diverse ancora sarebbero state le sensazioni al tempo t1 dell’investitore dello strumento blu che, tutto sommato, non avrebbe dovuto sopportare durante l’anno grandi preoccupazioni, pur ottenendo, al pari degli altri, un risultato finale soddisfacente.
A causa dei bias comportamentali, l’intervento umano avrebbe scatenato nei tre casi una reazione comportamentale differente, che si sarebbe riflessa anche nella dinamica dei flussi d’investimento/disinvestimento.
Ad esempio, l’investitore del prodotto rosso, invece di limitarsi a investire il capitale in t0 e mantenerlo fino al tempo t1, probabilmente avrebbe aumentato i suoi investimenti nel tempo, data la crescita del primo periodo, comprando progressivamente ad un prezzo sempre più alto e subendo infine addirittura una perdita, a causa di un prezzo medio di acquisto più elevato rispetto al valore finale del proprio investimento.
Ancor più sfortunato sarebbe stato un ipotetico altro investitore che, incoraggiato dai buoni rendimenti dello strumento rosso, avrebbe iniziato a sottoscriverlo proprio sui massimi, con esiti finali catastrofici.
Viceversa, l’investitore del prodotto verde, spaventato dalle perdite registrate fin dal momento del suo ingresso, avrebbe molto probabilmente ridotto le sue posizioni con l’avvicinarsi a quelli che (ex-post) sarebbero stati registrati come i valori minimi toccati dallo strumento, non potendo così beneficiare del successivo rialzo e rischiando per giunta neppure di pareggiare il suo capitale d’ingresso.
Forse siete ora d’accordo nel sostenere che se aveste scelto imprudentemente uno a caso di questi tre strumenti, confortati dal fatto che volatilità e Sharpe-ratio si equivalevano, non avreste tenuto in conto dell’elemento umano che è emerso con esiti decisivi dalle argomentazioni appena trattate.
Differentemente, la misura del massimo drawdown avrebbe fornito un dato molto più esplicativo del livello di rischiosità dei tre strumenti. In altri termini, tale valore avrebbe permesso di distinguere con maggiore chiarezza alcune peculiarità dei tre strumenti, completamente omesse dalla deviazione standard ma assai significative dal punto di vista esperienziale del risparmiatore.
La volatilità, una vanity metric: ecco un’ulteriore prova concreta
A riprova di come la volatilità poco serva a definire il rischio, si veda ancora questo esempio. Il grafico sottostante dimostra come il Drawdown possa rappresentare un’alternativa più affidabile nel valutare uno strumento o meglio, parafrasando Taleb, “antifragile” al caos a cui sono soggetti i mercati finanziari.
Dal grafico in questione, estrapolato dalla piattaforma eXact di Analysis, si nota subito il pesante drawdown subìto tra il 2008 e il 2009, pari a circa il -43%.
Ebbene, se invece guardiamo alla misura della volatilità dello stesso strumento, il valore registrato si attesta ad un accettabilissimo 8%!
L’immagine riportata fornisce una risposta lampante su quale informazione, tra volatilità e drawdown, sia più utile dal punto di vista dell’investitore per calcolare i possibili effetti del prodotto sul portafoglio (e sulla propria emotività).
Con queste considerazioni, speriamo di aver fornito una nuova chiave di interpretazione per la valutazione di rischio/opportunità di un prodotto finanziario, dando il giusto peso alla volatilità e, piuttosto, non trascurando il valore di max drawdown.
Ciò consentirà di evitare di incappare in scelte al buio senza rendersene conto.
Chief Marketing Officer & Business Development Manager 4Timing SIM
“Per aspera ad astra“
Curioso per natura, nelle mie esperienze professionali ho sviluppato competenze differenti tra loro, condividendo ed acquisendo know-how in uno scambio che mi ha consentito di crescere nel corso degli anni, come professionista e come persona. Negli ultimi 13 anni mi sono dedicato alla Consulenza Finanziaria e nel 2015 sono entrato in 4Timing per realizzare, insieme agli altri soci fondatori, 4Timing SIM: un intermediario indipendente che rappresenta una boutique per il Consulente che vuole evolversi professionalmente e per l’investitore che desidera un rapporto professionale innovativo e di alto livello.